Superbonus 110% ed amministratore di condominio: quando scatta il conflitto d’interessi?
L’ormai celeberrima agevolazione fiscale per la realizzazione di opere di riqualificazione energetica delle parti comuni del fabbricato, nota ai più come Superbonus 110%, introdotta dal Decreto Legge 104 del 14 agosto 2020, convertito con modificazioni nella L. 13 ottobre 2020, n. 126, ha portato con sé una serie di problematiche applicative che, ancora oggi, tolgono il sonno agli addetti ai lavori.
Uno dei temi più interessanti da affrontare, per lo studioso del diritto, è quello relativo alla possibilità che, in relazione a tale fattispecie, possa configurarsi un vero e proprio conflitto d’interessi in capo all’amministratore di condominio, il quale opera a vantaggio della compagine condominiale in forza di un contratto di mandato con rappresentanza, a fronte del pagamento di un corrispettivo, previamente e liberamente pattuito tra le parti all’atto della nomina assembleare.
In merito a tale remunerazione, l’Agenzia delle Entrate, in risposta all’interpello 913-471/2020, ha sancito la non detraibilità fiscale del compenso dovuto all’amministratore per le per innovazioni disciplinate dall’art. 1120 c.c. o per gli interventi di manutenzione straordinaria di notevole entità di cui all’articolo 1135 c. c., a meno che, allo stesso, non venga espressamente riconosciuta la qualifica di “responsabile dei lavori”.
Un approfondimento, a questo punto, si impone.
Ogni volta che il Condominio delibera la realizzazione di opere che rivestano le caratteristiche tipiche delle attività di straordinaria manutenzione nel senso sopra delineato (tra le quali rientrano, a buon diritto, quelle oggetto del Superbonus 110%), vengono in rilievo, giuridicamente, due figure concettualmente ben distinte e separate: il committente, ossia il soggetto che affida in appalto l’esecuzione dei lavori, ed il responsabile dei lavori, vale a dire, il soggetto “che può essere incaricato dal committente” per adempiere ai compiti di protezione, sicurezza e garanzia che gli derivano dal combinato disposto degli articoli 90 e 100 del D. Lgs. n. 81/2008. Vale la pena ricordare, inoltre, che “nel campo di applicazione del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni, il responsabile dei lavori è il responsabile del procedimento” (Corte di Cass. Penale, Sez. IV, Sent. n. 23090 del 10 giugno 2008).
In ipotesi simili, attesa l’assenza di personalità giuridica riferibile al Condominio nel suo complesso (Cass. SS. UU., Sent. n. 10934/2019), l’amministratore può trovarsi a rivestire un duplice ruolo, assumendo contemporaneamente la titolarità delle distinte posizioni giuridiche delle due parti di un medesimo contratto d’appalto: quella di committente e di responsabile dei lavori.
Quid iuris in questi casi? Siamo di fronte ad un ossimoro giuridico o, piuttosto, ad una contraddizione in termini, in realtà, solo potenziale ed apparente?
Le norme di riferimento, per rispondere efficacemente al quesito in esame, sono individuabili nell’art. 1395 c. c., a mente del quale: “è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con sé stesso, in proprio o come rappresentante di un’altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d’interessi”, e l’art. 1394 c.c., secondo cui: “Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”.
La risposta ci viene fornita dalla Suprema Corte di Cassazione con l’Ordinanza 19 novembre 2019, n. 29959, secondo cui: “In tema di conclusione del contratto del rappresentante con sé stesso, l’art. 1395 c.c. contiene una presunzione iuris tantum di conflitto di interessi, superabile esclusivamente mediante la dimostrazione, in via alternativa, di una delle due condizioni tassativamente previste, vale a dire o l’autorizzazione specifica da parte del rappresentato oppure la predeterminazione degli elementi negoziali”.
Ci dice, dunque, il supremo Consesso che, nel caso di specie, non è individuabile alcun reale conflitto di interessi sia perché l’amministratore, pur essendo un’unica persona fisica, rappresenta, in concreto, due figure giuridiche contrattualmente ben distinte (committente e responsabile dei lavori), sia perché il contraente unico, nella duplice qualità, viene espressamente autorizzato dal rappresentato.
A fortiori, nel caso di specie, non viene in rilievo neppure il concetto di conflitto d’interessi, legittimante l’annullamento dell’ipotetico contratto, nella precisa definizione che ne ha dato la Suprema Corte con la Sentenza n. 1038 del 10 gennaio 2019, quale: “contrasto tra due interessi, quello del rappresentante e quello del rappresentato, che devono presentarsi in modo assolutamente inconciliabile ed incompatibile, tali da sfociare in un contrasto insanabile. Un contrasto tanto forte che per realizzare l’interesse dell’uno (esempio del rappresentante) dovrà sacrificarsi l’interesse dell’altro” (esempio del rappresentato).”
In realtà, allora, proseguendo nello sviluppo dell’iter logico argomentativo presupposto dalla Suprema Corte, parrebbe possibile prefigurare un’unica concreta possibilità di conflitto d’interessi tale da inficiare la validità del negozio concluso dall’amministratore nella duplice richiamata veste: ossia quella in cui, con un contratto a sé stante, l’amministratore attribuisca a sé stesso un ulteriore compenso per il ruolo di responsabile dei lavori rispetto a quanto concordato in sede di conferimento d’incarico.
Tale situazione potrebbe determinare una sperequazione ed uno sbilanciamento di interessi, da valutarsi, comunque, caso per caso.
Siamo, infatti, personalmente molto restii ad assumere posizioni aprioristiche e dogmatiche, posto che una cosa è l’attribuzione unilaterale di un ulteriore compenso che l’amministratore riconosca a sé stesso –senza la necessaria copertura assembleare- per la funzione di responsabile dei lavori; ben altra cosa è un compenso extra per tale funzione che sia autorizzato da un apposito deliberato assembleare.
In questo senso, a testimoniare la non automatica riconducibilità alle attribuzioni tipiche dell’amministratore di condominio della qualifica di responsabile dei lavori, remunerata con il compenso pattuito per le attività ordinarie, ricordiamo copiosa giurisprudenza di legittimità e di merito per la quale fra gli atti conservativi attribuiti alla competenza dell’amministratore rientrano solo gli atti di conservazione materiale della cosa comune di natura ordinaria o gli atti urgenti di non rilevante entità, che siano necessari per la salvaguardia dell’integrità della proprietà comune, e, certamente, l’attività propria del direttore dei lavori non è tra questi riconducibile. (Trib. di Roma, Sent. n. 17115 del 10.09.2019; Cass. Civ., Sez. II, Sent. n. 24133 del 24.10.2013; Cass. Civ., Sez. II, Sent. n. 14618 del 17.06.2010).
Riteniamo, pertanto, che il dibattito sul tema sia ancora ben lungi dal potersi considerare concluso e, ne siamo certi, ci saranno ulteriori sviluppi, destinati a crescere esponenzialmente, man mano che, operativamente, prenderanno concretamente il via, nei vari stabili aventi i requisiti di legge, i lavori di efficientamento energetico oggetto del presente focus.
Stampa articoloBonus 110%. Un terreno minato per l’Amministratore di Condominio