Esenzione imposte sulla prima casa: rileva la sola residenza familiare
L’esenzione dal pagamento dell’imposta sugli immobili spetta soltanto nei casi in cui i coniugi siano residenti e dimorino abitualmente nella stessa casa.
È questo il chiarimento fornito dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza 15 dicembre 2020, n. 28534.
Curioso è il tempismo della pronuncia a un giorno dal termine per il pagamento del saldo dell’imposta sugli immobili, scaduto ieri (16 dicembre 2020).
La sentenza pur pronunciandosi sulla debenza dell’ormai non più vigente Imposta comunale sugli immobili (ICI), potrebbe avere dirette e immediate ricadute sulla attuale imposta sugli immobili, meglio nota come Imposta municipale unica (IMU),
Il condizionale è d’obbligo, poiché, come noto l’IMU si fonda su presupposti impositivi assai diversi rispetto alla “vecchia” ICI.
Se infatti ai fini dell’esclusione dal pagamento dell’ICI sulla prima casa era sufficiente la prova della dimora abituale, per ottenere l’esenzione IMU occorre un doppio requisito: è necessario, infatti, che sull’abitazione per la quale si chiede l’esonero di corresponsione del tributo vi sia la dimora abituale e, congiuntamente, anche la residenza anagrafica.
Il dubbio interpretativo sull’operatività dell’esenzione dal pagamento della prima casa era stata alimentato negli anni dal contrapporsi di diversi posizioni: da una parte, infatti, il Mef aveva risposto in senso affermativo circa la non corresponsione dell’imposta sull’assunto che “in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro Comune, ad esempio, per esigenze lavorative” (circolare, 18 maggio 2012, n. 3) dall’altra, la giurisprudenza di fatto sempre molto restìa ad accordare il beneficio nei casi di mancata coabitazione dei coniugi.
L’intento della pronuncia è quello di arginare il fenomeno delle c.d. finte case, utilizzato quale espediente per giustificare il mancato versamento dell’imposta.
Analizziamo la pronuncia in commento.
I fatti di causa
Nel caso specifico sopposto all’attenzione dei giudici di legittimità, una coppia di coniugi avevano dichiarato, anche al Fisco, di risiedere in due abitazioni diverse, pur di fatto vivendo nella stessa casa.
La contribuente, sulla base della dichiarata residenza in una abitazione distinta da quella del coniuge, riteneva di avere diritto all’esenzione dal pagamento dell’imposta.
Di diverso parere era l’Agenzia delle Entrate che aveva emesso nei confronti della moglie un avviso di accertamento ai fini ICI per il periodo di imposta 2010, sulla base di una presunta fittizietà della dichiarazione di residenza.
La sentenza di secondo grado, soffermandosi sul mero dato formale della residenza dichiarata e omettendo di effettuare qualsivoglia accertamento in ordine all’effettiva rispondenza dei fatti alla dichiarazione, aveva accolto il ricorso della contribuente, conseguentemente annullando la pretesa impositiva.
Il principio affermato dalla Corte di Cassazione
Con il decisum in commento, la Suprema Corte ribalta il giudicato dei giudici di secondo grado, ribadendo un principio già in precedenza affermato.
Ai fini dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sulla prima casa, “non basta che il coniuge abbia trasferito la propria residenza nel comune in cui l’immobile è situato ma occorre che in tale immobile si realizzi la coabitazione dei coniugi, atteso che, considerato che l’art. 144 cod. civ. prevede che i coniugi possano avere esigenze diverse ai fini della residenza individuale e fissare altrove quella della famiglia, ciò che assume rilevanza, per beneficiare di dette agevolazioni, non è la residenza dei singoli coniugi bensì quella della famiglia”.
In altri termini, per poter beneficiare dell’esenzione dal pagamento dell’imposta sulla abitazione principale, è necessario che il possessore e tutti i componenti del proprio nucleo familiare dimorino abitualmente nell’immobile e vi risiedano anagraficamente.
Stampa articolo